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Descrizione
LA STORIA
La chiesa più frequentata in Sorrento, lo più preziosa e lo più legata alla storia ed alla devozione dell’intera penisola è lo Basilica di Sant’Antonino Abate, Patrono della Città e dell’Antica Arcidiocesi. Essa è stata costruita presso lo vecchia chiesa di Sant’Agrippino, vicino alla quale sorse l’Oratorio di San Martino, realizzato – secondo lo tradizione – dallo stesso Santo.
Del convento di Sant’Agrippino – dell’Ordine di San Benedetto – Antonino fu eletto Abate dopo lo morte del Dom. Bonifacio ed ivi morì, nell’anno 625, essendo Console di Sorrento Probiano, Imperatore Eraclio e Sommo Pontefice Onorio (cfr. A. Cuomo, Sant’Antonino e i Quattro Vescovi Santi, Fidapa, 1991, p. 10-11).
L’epoca della sua erezione non è determinabile con precisione, anche se sul sepolcro del Santo venne eretto, pochi anni dopo lo morte, un Oratorio, poi ingrandito. Doyeva esistere nell’anno 835, quando il principe Sicardo di Benevento inviò lo figlia invasato dal demonio, perché fosse liberata dal Santo (come le storie raccontano sia avvenuto), e fu costretto a togliere l’assedio a Sorrento (cfr. P. Ferraiuolo, Chiese e monasteri di Sorrento, Congr. Servi di Maria, 1974, p. 47). E certamente è da quella data che la pietà dei fedeli rese il tempio dedicato all’ Abate Antonino sempre più bello e nel 1380 vi fu fondata una Confraternita di battenti che si radunava nel succorpo.
Nelle Lucubrationes di Mons. Anastasio si incontra lo conferma dell’ esistenza della chiesa e dall’ Anonimo Sorrentino (il più antico scrittore del Santo, pubblicato nel 1626 dal teatino Antonio Caracciolo) è aggiunto che era ufficiata da un Arciprete.
In un atto del 10 settembre 1452 – riportato nella Platea – si rinviene che lo stesso Re nominava Rettore della Chiesa di Sant’Antonino, “vacata in manibus Domini Regis”, il Cappellano Maggiore Domenico Exarch. Con decreto del 12 dicembre 1924 Pio XI elevò la chiesa a Basilica Pontificia, equiparandola per i privilegi a quelle minori romane.
L’ESTERNO
La Facciata in stile romanico, in tufo grigio, si presenta con inserito il campanile, elegante nella sua austerità e, con quattro gradini di marmo anch’esso grigio, dà l’accesso ad un piccolo portico, ove sulla destra, sopra stante l’urna che raccoglie le spoglie di un suo rettore che ne resse le sorti per oltre un cinquantennio, Moils. D. Francesco Gargiulo, sono depositate le ossa del cetaceo cui è attribuito il miracolo di Sant’Antonino, cui più sono legati i Sorrentini. Al di sopra del varco di accesso vi è un’edicola ad arco con un bell’ affresco del Santo (già rilevata in occasione della Sacra Visita dell’Arcivescovo Mons. Provenza le, nel 1599).
Sulla parete opposta vi è lo testimonianza marmorea dell’impegno dei “coltivatori sorrentini” per lo sistemazione e l’abbellimento dello stesso porticato nel 1886.
Nel lato meridionale della basilica, sull’antica strada intitolata allo stesso Santo – quasi al centro – vi è lo porta piccola, attribuita al sec. X (cfr. Album del III Centenario Tassiano). Essa si presenta realizzata in gran parte con materiali architettonici e scultorei di epoca classica: colonne di giallo antico e capitelli di ordine corinzio con la cornice, parte di un’altra cornice più complessa.
LA NAVATA CENTRALE
La navata centrale della Basilica è a sei archi, sostenuti da sei colonne da una parte di granito vario e dall’altra di avanzi di tempi i pagani: i primi (verso l’ingresso) sono appoggiati ai muri di cinta, gli ultimi (verso lo crociera) fronteggiano solidi pilastri in marmo.
Negli ovali – orizzontali e cinque per parte – ricavati fra i vani degli archi esistono affreschi, al di sopra dei quali si sviluppa il cornicione con grandi finestroni, nei cui spazi ripieni esistono altri tre affreschi di misura rettangolare (più grande di quelli negli ovali): conseguentemente si possono ammirare ben 16 episodi della vita dell’ Abate Antonino e dei suoi miracoli.
Procedendo dall’ingresso verso l’altare, sul lato destro, si trovano – negli ovali – il Santo che salva un muratore precipitato dal campanile (nel primo), l’apparizione allo scultore che doveva realizzare la sua statua e gli paga il compenso ancora dovutogli (nel secondo), la liberazione di un’ossessa dal demonio (nel terzo), lo messa in fuga della flotta saracena (nel quarto) e l’approvvigionamento di pesci ai suoi devoti (nell’ultimo) ed, al di sopra del cornicione – nei quadri rettangolari – l’entrata di Sant’Antonino a Sorrento fra l’accoglienza dell’Abate Bonifacio e dei sorrentini, l’apparizione al Papa che manteneva in prigione per ingiuste accuse San Catello, vescovo di Stabia, e lo visione del torchio acceso sulla cima del monte. Sul lato opposto – sinistro – al di sotto del cornicione, il Santo che opera la liberazione di un’ossessa (nel primo), la salvezza di un naviglio in piena tempesta (nel secondo), la guarigione di un diacono morsicato da un serpente (nel terzo), la salvezza di un capro caduto in una calcara (nel quarto) e la liberazione di alcuni operai da un macigno che precipitava (nell’ultimo) mentre i tre quadri, al di sopra del cornicione, presentano lo liberazione del fanciullo dalla “balena”, l’uscita prodigiosa di acqua dal Monte Aureo e l’apparizione dell’Arcangelo San Michele.
A proposito della statua d’argento del Santo (fatta dall’orefice sorrentino Giovanni di Rosania nel 1494), è opportuno segnalare che fu anch’essa depredata in occasione della nefanda invasione dei Saraceni, nella notte del 13 giugno 1558 e fusa per realizzare armi. I Sorrentini, per dimostrare ancora una volta lo loro devozione al Santo patrono, decisero di realizzare una nuova statua d’argento e ne affidarono il compito ad un orafo napoletano, versandogli anche come acconto lo somma raccolta e convenendo che al compimento dell’opera avrebbero saldato il dovuto. Purtroppo gli affari economici a Sorrento non andavano per il giusto verso per cui ritardavano di recarsi a Napoli, ma in loro aiuto giunse lo stesso Santo, il quale si recò dall’ orefice, gli consegnò in una borsa il saldo convenuto e suggerì all’artefice di guardarlo bene per ritrarre nella statua le sue sembianze. Intanto, dopo tempo, essendo riusciti a raccogliere il dovuto, i delegati del popolo sorrentino, recatisi a Napoli, ebbero lo sorpresa di trovare l’opera terminata e già pronta per essere consegnata, con il saldo già versato. Compresero il miracolo e fu deciso di aggiungere alla statua una borsa (per indicare il miracolo) e l’orefice vi scolpì lo data ed il suo nome: 2 febbraio 1564, Scipio di Costantino.
Il soffitto è realizzato a forti riquadrature e rosoni d’oro in fondo azzurro con tre tele di Giambattista Lama, del 1734: al centro l’episodio della liberazione della figlia del Principe Sicardo con il Santo che, dal cielo, propizia l’evento ed i vari cortigiani che accompagnano l’ossessa; verso il presbiterio un tondo rappresenta San Gaetano Thiene, fondatore dei Teatini che possedettero convento e chiesa per molti anni, mentre l’altro tondo (verso l’ingresso) è impegnato dall’immagine di Sant’Andrea Avellino, santo teatino.
IL PRESBITERIO
Raggiungendo la crociera, cui si accede mediante cinque gradini di marmo bianco, s’incontra l’altare maggiore, ricco e maestoso, in passato appartenente alla vicina chiesa del soppresso monastero benedettino della santissima Trinità, consacrato il primo luglio 1814 dall’Arcivescovo di Sorrento, Mons. Vincenzo Calà.
Dietro il detto altare vi è un coro ligneo, sulla cui parete curva – nella parte superiore dell’abside – vi sono i Santi Patroni di Sorrento: al centro Sant’Antonino con alla destra San Bacco e Sant’Attanasio ed alla sinistra San Renato e San Valerio (tutti opera di Giacomo Del Po e datati 1685).
Sulle pareti laterali, occupate quasi per intero, si ammirano due tele (dello stesso autore, raffiguranti, l’una, lo liberazione di Sorrento dall’assedio di Grillo del 1648 e, l’altra, lo liberazione della città dalla peste del 1656)
Sulle due pareti al lato dell’altare vi sono due reliquari, provenienti dalla Cattedrale di Sorrento, realizzati nel 1608 dall’arcivescovo Mons. Provenzale: furono trasferiti nella chiesa del Santo Patrono fra il 1659 ed il 1679, allorché era arcivescovo Mons. Suardo. Il riquadro a destra dell’altare contiene 17 reliquie fra cui quelle di San Bacolo, vescovo di Sorrento nel VI secolo; in quello a sinistra le reliquie sono 21 e, fra esse, vi sono quelle di San Placido, uno dei due discepoli prediletti di San Benedetto.
Nel soffitto della crociera è dipinto lo Spirito Santo al centro di una grande raggiera, che ha sostituito nel secolo scorso le antiche pitture di Sant’ Antonino e San Gaetano.
LE NAVATE LATERALI
La navata centrale, che conduce dall’ingresso all’altare maggiore, è affiancata da due navate laterali che conducono, anche, al succorpo o cripta sottostante il presbiterio e che sono dotate, ognuno, di due altari: a destra vi sono quelli di San Giuseppe (anticamente ella Madonna del Rosario) e di Sant’Andrea Avellino, a sinistra dell’Immacolata e di San Gaetano Thiene.
Una citazione particolare merita l’altare dedicato all’Immacolata, perché si può ammirare una statua della ergine, ordinata dal Preposito Don Vincenzo Belli allo scultore Citarelli nel 1848 (ritenuta la più bella statua moderna della penisola).
La testimonianza dell’affidamento della chiesa ai Padri Teatini – avvenuta con pubblico rogito del 21 luglio 1608 – oltre che dai suddetti due altari al Santo fondatore dell’Ordine ed a Sant’Andrea, è convalidata dagli otto dipinti in tela (quattro per lato) rappresentanti i principali episodi della vita dei due Santi.
LA CRIPTA
La parte più visitata della Basilica, ove maggiormente si concentrano i devoti del Santo Patrono Antonino, è l’ipogeo o Cripta, comunemente detta del succorpo ed occupante tutta lo parte ad est dell’ edificio sacro, a livello inferiore di quello con ingresso diretto dalla omonima piazza ed avente accesso da due scale in marmo in prosieguo delle due navate laterali. L’intera area è sostenuta da otto colonne di marmo pregiato recuperate dagli antichi templi pagani della zona, sulle quali si sviluppano gli archi di sostegno: quattro più piccoli all’interno della balaustra, che circoscrive lo zona dell’altare, e quattro più grandi all’esterno.
Si possono ammirare sei tele del pittore sorrentino Carlo Amalfi (1707-1787) raffiguranti, ancora, i santi compatroni di Sorrento: i quattro vescovi San Renato, San Valerio, Sant’Attanasio e San Bacolo e gli altri Santi Gennaro di Napoli e Nicola di Bari. Le altre pareti del succorpo sono arricchite dagli ex voto, che sono lo testimonianza della fede nel Santo e delle grazie ricevute, e da una cospicua serie di “quadri” riproducenti prodigiosi salvataggi marinari.
Al centro della cripta si erge l’altare, sul quale è posta una statua del Santo, alle cui spalle c’è la lampada perenne ad olio con lo lamina d’argento che i visitatori palpeggiano, recitando la preghiera ivi riportata a ricordo del famoso miracolo di Sant’Antonino di guarigione del Vescovo sorrentino.
Si narra che all’epoca della vita di Sant’Antonino il vescovo di Sorrento (probabilmente Amando), cavalcando una mulo, presso lo porta della città fu sbalzato di sella e, cadendo, si fratturò una gamba. Con altri lo visitò il Santo Abate Antonino, che lo rassicurò di una invocazione alla Madonna. Infatti, durante lo notte, il Vescovo sognò il Santo che, prendendo dell’olio da un’ampollina che aveva in mano lo Beata vergine, gli unse la gamba fratturata. Al mattino il prelato si trovò guarito. Da qui è nata lo devozione di ungersi le mani alle spalle dell’altare del Santo e di segnarsi con fede.
Negli estremi angoli laterali (alle spalle dell’ altare del Santo) esistono due altarini: quello di sinistra presenta il quadro di maggior valore artistico di tutta lo basilica, un affresco della Madonna delle Grazie del secolo XIV, proveniente dalle mura della città e quindi ritenuta lo testimonianza sorrentina più antica alla Madre di Dio; quello a destra con il famoso Crocifisso, in legno ricoperto da una guaina in argento, che è portato in processione o in occasione di eventi eccezionali o per penitenza in gravi calamità pubbliche.
La prima solenne processione di penitenza è registrata dal 17 febbraio 1703, in occasione dei continui terremoti che si verificavano in Napoli e nel Golfo. Quattro anni dopo (12 febbraio 1707) analoga processione si svolse per lo riparazione all’interdetto cui da anni era sottoposta lo città e che fu tolto il 25 maggio successivo, così come nel maggio del 171 °, non essendosi verificato il miracolo di San Gennaro a Napoli, per evitare, come si prevedeva in simili occasioni, imminenti disavventure nuovamente si portò in processione il miracoloso Crocifisso. Molte altre ancora sono state le occasioni di una tale processione, di cui le ultime, in memoria, sono quelle in occasione della eruzione del Vesuvio del 1984 e dell’anno della Conversione indetto da Giovanni Paolo Il: in tale occasione dietro al Crocifisso recato dall’Arcivescovo Mons. Zama sfilarono i quattro Sindaci delle Città da Sorrento a Meta.
Le due balaustre di marmo lungo le scalinate di accesso alla cripta sono state scolpite nel 1753, mentre gli affreschi del pittore Pietro Anton Squilles del 1691 sono stati coperti di stucchi nel 1778.
Questa parte della basilica è ricca delle testimonianze dei miracoli del Santo (un’altra piccola parte è nel locale d’ingresso alla sagrestia). Vi è tutta un’esposizione di quadri degli interventi miracolosi per lo salvezza di naviganti, di cui Sant’Antonino è stato sempre ritenuto efficace patrono, mentre una serie di bacheche racchiudono gli ex voto in argento di prodigi soddisfacenti le invocazioni dei fedeli per guarigioni nel corpo.
LA SAGRESTIA
Passando alla sagrestia (molto ampia, sviluppata in più ambienti e munita di due ingressi) si incontrano molte preziose testimonianze dell’antichità del tempio e della devozione dei fedeli.
I sei “bozzetti” degli ovali (1778), esposti nel succorpo, del pittore sorrentino Carlo Amalfi; una tavola ad olio con una Madonna con Bambino (fra le cose più ammirate da Vittorio Sgarbi, in una delle sue visite alla basilica); un’altra immagine della Madre di Dio, di stile bizantino, nella saletta del Rettore ed altre opere nella sala della vestizione, tra cui una magnifica tavola ad olio che mostra lo Vergine Maria tra i due Santi com patroni dell’Archidiocesi, Sant’Antonino e San Catello, opera del 1539 di Luca de Maxo, e una scultura lignea del ‘600 raffigurante lo Madonna del Rosario e un grande crocifisso ligneo.
La sagrestia è un piccolo museo: infatti ai quadri del patrimonio della basilica si aggiungono altri capolavori, oggetti di più o meno recenti donazioni al Santo a dimostrazione della sempre viva devozione e della costante fede nel suo patrocinio. Così si possono tra l’atro ammirare un presepe in miniatura del Settecento ricco di pastori e di animali, donato di recente, e una ricostruzione plastica del miracolo della balena.
Testo tratto dal libro “La basilica di Sant’Antonino a Sorrento” di Antonino Cuomo
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